Goodbye “MISTER MOONLIGHT” - Il ricordo di Emilio Cozzi di Tito Stagno, scomparso oggi. – Wired Italia –

“Commenterai il primo sbarco umano su Marte - mi ripeteva a ogni incontro -. “Te lo garantisco, fidati, di viaggi extraterrestri qualcosa so”. Eccome se ne sapeva Tito Stagno, per l’Italia – tutta l’Italia – la “voce della Luna”, quella che aveva accompagnato Neil Armstrong, Buzz Aldrin e soprattutto la loro Eagle nel primo contatto con una superficie diversa da quella terrestre, una caldissima sera di luglio del 1969.  Me lo prometteva, Tito, e aveva l’ardire di ripeterlo anche in pubblico, come nel novembre di due anni fa, sul palco del Trieste Science + Fiction Festival, quando con la sua solita sintesi, quella di chi sa come parlare per rendere lo straordinario accessibile a chiunque, aveva ricordato che “la fantascienza è realtà”.

Un’altra volta, con sua moglie, l’inseparabile Edda, dopo avermi ricordato dell’appuntamento marziano mi aveva regalato delle bretelle. Rosse, ovvio. Giusto per ribadire che, su certe cose fuori dal mondo, lui non scherzava affatto.

Per questo della promessa non ho mai dubitato. E non smetto certo di farlo ora, mentre apprendo che Tito ha lasciato la Terra per un altro viaggio. Che sia l’ultimo “lo dici tu”, mi avrebbe risposto lui col suo solito guizzo negli occhi, con la stessa scintilla che hanno i bambini quando osservano qualcosa per la prima volta. Solo che lui, la scintilla, l’aveva a 92 anni suonati. E non è da escludere che con la stessa curiosità, il vero segreto della sua passione per il lavoro e non solo, potrebbe riuscirgli bene pure il commento di quest’altro, di viaggio, l’ultimo (“lo dici tu”).

Gli fosse concesso farci sapere cosa sta guardando adesso, non ci sarebbe nulla di cui stupirsi: saprebbe (in)cantare raccontando in diretta qualsiasi cosa, Tito, come aveva fatto meglio di tanti, forse meglio di tutti – compreso il suo più celebre collega statunitense, Walter Cronkite, anche lui scioltosi davanti alla telecamera- quella storica notte di luglio.

Da sempre appassionato e profondo conoscitore dello spazio – “avevo letto una velina sul primo Sputnik e avevo capito fosse l’inizio di qualcosa, di una nuova era” mi aveva spiegato - Tito fu il testimone di quella che definiva "una stagione di entusiasmi, di coraggio, di desiderio di conoscenza che si rivelò poi troppo breve''. Come inviato speciale aveva seguito i più grandi personaggi del secolo scorso da Giovanni XIII a Giuseppe Saragat. Aveva raccontato il viaggio di Paolo VI in Palestina e quello di John Fitzgerald Kennedy in Italia. Gli erano capitate anche le telecronache dell’assassinio di Jfk e dell'uccisione del di lui omicida, Lee Harvey Oswald.

Primo ospite della prima puntata – volutamente - di un mio programma televisivo dedicato alla divulgazione spaziale, come al solito mi aveva sorpreso. “Fra tutti i tuoi incontri  - gli avevo domandato durante una pausa - qual è stato il più memorabile?” Mi sarei aspettato iniziasse a raccontarmi di Wernher von Braun, il geniale ingegnere dai trascorsi nazisti che aveva ideato il Saturno V e che lui aveva accompagnato a cena in un’osteria, una volta che quello era passato a Roma per un viaggio. Oppure Armstrong, Aldrin e Michael Collins, cui Tito aveva fatto da cicerone nella loro prima visita ufficiale in Italia dopo l’avventura lunare. Mi sarei aspettato menzionasse qualche astronauta del programma Apollo – li aveva incontrati tutti – tipo Frank Borman, il comandante dell’Apollo 8, che l’aveva soprannominato “Mr. Moonlight” una sera, mentre il juke-box suonava il pezzo dei Beatles. “Diego Armando Maradona” aveva invece risposto Tito, e senza pensarci un secondo.

L’aveva incontrato non si sa bene dove – mi disse – e nel trambusto che circondava Maradona qualsiasi cosa facesse, era riuscito a chiedergli perché non venisse a trovarlo alla Domenica sportiva, che Tito, dal 1979, condusse per due anni e curò fino al 1995 (al solito stravolgendola, con l’idea di portarci la Formula 1, ma anche gli atleti in studio a commentare gli eventi). “Se vinciamo domenica, passo”, aveva buttato lì Maradona, senza in realtà convincere Tito. Che però, Maradona, se l'era visto arrivare in studio proprio la domenica successiva: “A Torino, per la prima volta in 29 anni, il Napoli aveva appena battuto la Juventus. Maradona non solo si ricordava una promessa buttata lì qualche giorno prima, mentre decine di persone lo assillavano: aveva giocato e subito dopo era venuto da noi. Era ancora in tuta”.

A colpire Tito non era il campione, l’astronauta, lo straordinario. Era la semplicità del quotidiano. La semplicità delle donne e degli uomini dietro, dentro, oltre i personaggi. La stessa che ha fatto di lui, di Tito, un ordinario gigante. Di giornalismo e umanità. Prima di lasciare la Terra, ha avuto la gioia di sapere che la International Astronomical Union ha assegnato il suo nome all’asteroide 110702, in orbita tra Marte e Giove, accogliendo la proposta degli astronomi italiani Mario Di Martino e Marco Morelli. Insomma Tito, hai avuto ragione un’altra volta. E visto che “la fantascienza è realtà” e tu sei già da quelle parti, ci vediamo su Marte. Per il commento.

 

Ad astra.

Istituto Dante Alighieri