Frank Lloyd Wright: il più grande architetto americano del XX secolo

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Museum of Modern Art - New York City

Frank Lloyd Wright

«La figura umana mi si rivelò, verso il 1893 e anche prima, come la vera base della scala umana nell’architettura» (Frank Lloyd Wright, 1957)

Frank Lloyd Wright

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Frank Lloyd Wright, il più anziano dei cinque maestri del Movimento Moderno (gli altri sono Le Corbusier, Mies van der Rohe, Alvar Aalto e Walter Gropius), nasce nel 1867 da una famiglia di predicatori unitariani di origine gallese. Viene educato dalla madre secondo i principi della pedagogia di Friedrich Fröbel (così come accadrà, tra gli altri, a Charles Eames, Richard Buckminster Fuller, Johannes Itten) in cui un ruolo importante spetta agli Spielgabe (traducibile come “doni per giocare”): sfere, cubi, cilindri e altri solidi primitivi, realizzati in vari materiali (dal filato al legno), che possono essere manipolati e assemblati in infinite varianti e che – secondo parte della critica - avrebbero inciso sul suo immaginario figurativo.

Iscritto come studente esterno ai corsi della facoltà di Ingegneria del Wisconsin (che in seguito abbandonerà), inizia il proprio percorso professionale come apprendista in due importanti studi: prima, quello di J. L. Silsbee; poi, l’ufficio a Chicago di Dankmar Adler e Louis Henry Sullivan. Qui rimane per circa sei anni, dal 1887 al 1893, dedicandosi principalmente alla progettazione di abitazioni unifamiliari, ma avendo comunque modo di conoscere i progetti di grattacieli (tipologia insediativa che Wright detesterà lungo tutta la sua carriera) ed edifici commerciali che Adler e Sullivan stanno sviluppando nell’alveo della Scuola di Chicago e, più in generale, della nascente architettura organica (di cui Wright diventerà indiscusso protagonista).

Dal 1893, ha il proprio studio nello Schiller Theater Building (una delle opere più note di Adler e Sullivan) in cui si occupa, nuovamente, di ville periurbane. Negativamente colpito dalla World Exhibition Fair del 1893 – che descrive come “una mascherata, più che mai tragica; il volto fiorito del formalismo teorico delle Accademie; il pervertimento di quanto di architettonicamente moderno avevamo raggiunto attraverso la negazione; già una cancrena sul nostro progresso. Un sovvertimento insensato” (1957) – inizia a riflettere sul vero spirito dell’architettura autoctona americana, da costruire sul mito dei pionieri. Assumendo quali valori imprescindibili principi morali come l’unità familiare e il legame alla tradizione locale, sviluppa i primi esempi delle cosiddette “Prairie houses”: un gruppo eterogeneo di abitazioni che gravitano intorno al quartiere di Oak Park, che però condividono – tra loro e con i primi esempi di architettura organica - caratteristiche quali il forte radicamento al suolo, la composizione di piante, prospetti e sezioni attraverso un sistema modulare e proporzionale basato sulla figura dell’uomo, un andamento prevalentemente orizzontale (che Wright definisce “snellezza”) e la contaminazione tra spazio interno ed esterno, che si gioca anche grazie a una progressiva destrutturazione della scatola muraria, resa possibile dall’applicazione di nuovi materiali. Capolavori di questa famiglia di progetti sono la casa che l’architetto si costruisce tra il 1889 e il 1898 e la “Robie house” (1908-1910).

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Fallingwater

L’unica eccezione che Frank Lloyd Wright registra alla desolazione della World Exhibition Fair è il piccolo padiglione conosciuto come l'Ho-o-den, un tempio giapponese ricostruito su un'isola artificiale (la Wooded Island), che esercita una fortissima fascinazione sull’architetto. Già conoscitore di numerose stampe e xilografie provenienti dal Paese del Sol Levante, Wright intensifica il proprio interesse per quella cultura e architettura, che lo porterà non solo a compiere numerosi viaggi in Oriente, ma a divenire anche uno dei massimi collezionisti ed esperti americani di opere grafiche giapponesi. Abiterà inoltre a Tokyo, tra il 1915 e il 1921, e scriverà un testo di riferimento per gli amanti dell’arte giapponese, intitolato “The Japanese Print. An Interpretation” (1912). Naturalmente, i richiami alla figurazione e all’immaginario giapponese sono evidenti in molte opere wrightiane, sublimati nel Tokyo Imperial Hotel (1915-1923) ma già chiaramente leggibili nella Winslow House di River Forest (1893).

Il passaggio dalla “vera” casa americana al “vero” modello insediativo è breve; la maglia su cui sono modulate le Prairie houses si estende al territorio, disegnando il reticolo di Broadacre City (1932) che viene da Frank Lloyd Wright intesa come “un concetto spaziale nuovo, a uso dell’edilizia individuale e comunitaria: un uso sociale”. Su un reticolo a base quadrata con ciascun lotto delle dimensioni di un acro (broad-acre), si propone la costruzione di ville non solo unifamiliari (le cosiddette case “usoniane”, termine d’invenzione derivato da USA) ma anche autosufficienti, perché proprio la dimensione del lotto consente di ricavare orti che garantiscano l’indipendenza dei cittadini dalle distorsioni della moderna economia.

Accanto alle riflessioni sul tema della casa, Wright affronta poi quello dell’edificio pubblico con lo Unity Temple di nuovo a Oak Park (1905-1908) – un monolite in cemento, destinato ad accogliere le assemblee dei fedeli unitariani - e quello della sede per uffici, con la Larkin Company Administration Building a Buffalo (1904, demolita nel 1950) e, più tardi, la S.C. Johnson Wax a Racine (1939).

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Divenuto molto celebre in Europa grazie a una mostra monografica dedicatagli a Berlino nel 1910 (le sue opere sono pubblicate nel catalogo “Ausgeführte Baute und Entwürfe”, che vende moltissime copie), Wright ha nel frattempo iniziato a lavorare su un’altra tipologia di casa, conosciuta con il nome collettivo di “textile block houses”: ville, stavolta concentrate nella California del sud, realizzate con un particolare sistema di prefabbricazione, brevettato dall’architetto, e ispirato alle modalità con cui le macchine moderne sono in grado di tessere le stoffe. Su un’intelaiatura di ferri vengono fatti scivolare piccoli blocchi autoportanti in cemento, che spesso integrano tagli decorativi chiusi da vetri colorati, poi resi solidali attraverso getti di cemento fresco nelle scanalature che accolgono i ferri medesimi: “per la prima volta al mondo – sostiene Frank Lloyd Wright - un edificio può essere costruito in modo leggero, tutto completo, servendosi di un solo materiale, letteralmente tessuto per formare un modello o disegno, come nel caso di un tessuto orientale” (1927). Magnifica è la costruzione nota con il soprannome di villa “La Miniatura” (Pasadena, 1923), costruita per la famiglia Millard e divenuta set cinematografico di numerose produzioni, nonché luogo in cui si svolge una delle più satiriche puntate dell’irriverente cartone animato americano South Park.

Del resto, Wright è certamente uno degli architetti che per primi hanno affascinato l’immaginario collettivo dei non addetti ai lavori e per questo uno dei pochi progettisti a ricevere l’onore di una copertina di “Life Magazine”. Gli verrà anche dedicata, nel 1970, una canzone del duo Simon&Gurfunkel (“So long, Frank Lloyd Wright”), dopo che il suo successo internazionale sarà divenuto planetario grazie alle ultime, straordinarie opere della sua lunga carriera: la celeberrima Kaufmann House (altrimenti dette “Casa sulla Cascata”, realizzata a Bear Run in Pennsylvania, nel 1936) e l’altrettanto noto Solomon R. Guggenheim Museum di New York (1945-1959).

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Attraverso le parole di Bruno Zevi

L'autentica architettura, insegna Wright, quella del futuro, ma anche del presente e del passato, concerne, plasma, inventa lo spazio vivibile, umano, lo 'spazio in sé' a servizio dell'individuo e della comunità... Tuttavia, se l'architettura contemporanea aspira davvero a una re-integrazione, a un nuovo umanesimo, può trovare eccezionali stimoli nelle infinite fonti wrightiane.

Istituto Dante Alighieri