Depressione, ansia insonnia e stress da Covid-19? si chiama CORONAPHOBIA

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Farmaci antidepressivi e stress da Covid-19, farmacisti a supporto dell'uso corretto in una patologia emergente

Depressione, ansia insonnia e stress da quarantena e da Covid-19, sono i sintomi e i segni psicologici che stanno lasciando una traccia sulla salute mentale, con aumento delle diagnosi da stress post-traumatico, al punto che un recentissimo studio ha dato il nome all'ansia legata alla pandemia in corso: coronaphobia. Uno scenario patologico emergente che si sta registrando anche in Italia e in cui il farmacista, il professionista della salute, che incontra per primo e più frequentemente il paziente, può avere un ruolo fondamentale nel riconoscere i primi segnali di patologia e dare supporto all'aderenza alla terapia con farmaci antidepressivi, spesso mal tollerata e sospesa. Fondamentale, dunque, l'alleanza tra farmacista, prescrittore e paziente. Questi i temi emersi nel corso del webinar dal titolo "Antidepressivi ai tempi del Covid-19: l'approccio del farmacista" nell'ambito del progetto FarmaMentalCare organizzato da Edra con il supporto non condizionato di Lundbeck.

Lo stress da Covid-19: un vero e proprio disturbo

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Luca Pani, professore di Farmacologia e farmacologia clinica all'Università di Modena e Reggio Emilia e ordinario di Psichiatria clinica a Miami

«Un recentissimo studio ha dato il nome all'ansia legata alla pandemia in corso, definita: coronaphobia» ha annunciato Luca Pani, professore di Farmacologia e farmacologia clinica all'Università di Modena e Reggio Emilia e ordinario di Psichiatria clinica a Miami, tra i relatori dell'incontro. «Lo stress da Covid-19 è un vero e proprio disturbo, perché il cervello umano, che riesce a tollerare elevati stati di stress acuto, fa molta più fatica a riorganizzarsi in caso di stress cronico e di stillicidio emozionale, come avvenuto durante la quarantena» ha proseguito Pani. Questa situazione si sta registrando in Italia, come negli Stati Uniti e pone al farmacista una nuova sfida, di diventare punto di riferimento nell'individuare i primi segnali di disturbo depressivo e nella successiva aderenza alla terapia.

I farmacisti sono i professionisti della salute che più hanno contatti con il cittadino: ogni giorno si rivolgono loro in media 4 milioni di persone, il che li rende sempre più protagonisti delle dinamiche sociali e sanitarie che stanno trasformando i presidi territoriali per portarli al centro delle strategie moderne di prevenzione e gestione del paziente. «Lo stigma dei disturbi mentali riverbera sulla aderenza alla terapia con psicofarmaci, anche per le forme psicotiche. È come se lo spettro stesso della malattia mentale riesca a minare la terapia, cosicché i pazienti, se possono, appena stanno meglio abbandonano i farmaci» ma sottolinea Pani, «bisogna lavorare sul miglioramento dell'aderenza, perché il controllo della depressione porta a un incremento generale dello stato di benessere. Un paziente che tratta correttamente la sua depressione, aderisce maggiormente anche alle altre terapie croniche, si sottopone a corretti controlli medici per altro e patologie somatiche» ha concluso Pani.

I segnali della patologia: riconoscerli precocemente

Una maggiore adesione si ottiene con la collaborazione tra farmacista, prescrittore e paziente. I primi sintomi di una depressione spesso non si manifestano con il solo cambiamento del tono dell'umore, ma con un insieme di segnali che comprendono: aumento o diminuzione di peso, disturbi del sonno, perdita di energia, mancanza di concentrazione. In questa prima fase il farmacista può essere d'aiuto per indirizzare il paziente verso il medico di medicina generale e lo specialista. Purtroppo, poi «il 50% di coloro che ha una diagnosi e una terapia, la abbandona» ha spiegato Maria Salvina Signorelli, ricercatrice in Psichiatria presso il Dipartimento di Medicina clinica e sperimentale, Università degli Studi di Catania. «Quindi il farmacista potrebbe avere un ruolo attivo sia nell'individuare i soggetti che non chiedono aiuto (che si stima essere circa il 60% di chi ha problemi depressivi) sia nel contribuire all'alleanza farmacoterapeutica».

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Maria Salvina Signorelli, ricercatrice in Psichiatria presso il Dipartimento di Medicina clinica e sperimentale, Università degli Studi di Catania

 

I farmaci antidepressivi, ecco i motivi della scarsa aderenza

Rimane un problema base legato alle molecole che, pur essendo efficaci in acuto e nel mantenimento, sono mal tollerate nelle fasi iniziali del trattamento. Tra i fattori che influenzano negativamente l'aderenza all'uso di antidepressivi, oltre a l'impostazione di terapie non personalizzate che sono di competenza del medico, c'è una scarsa alleanza terapeutica e una scarsa istruzione sui farmaci. Questi ultimi sono fattori su cui può influire anche il farmacista. «L'aderenza precoce è cruciale per il successo della terapia, si stima che dal 30% al 60% dei pazienti abbandona gli antidepressivi o li assume irregolarmente entro 3 mesi» ha spiegato Signorelli. «Anche perché sono farmaci mal tollerati all'inizio della cura: un po' per i meccanismi d'azione del farmaco in sé, un po' perché vittima di una sorta di effetto 'nocebo' dato dalle credenze negative su questa classe di farmaci» ha sottolineato Signorelli, ed ha concluso, «le conseguenze della non aderenza a questi farmaci includono: ricadute, cronicità della depressione, ricorrenza dei sintomi, aumento dei tassi di suicidio. Senza contare l'impatto significativo sui costi e sull'utilizzo dei servizi sanitari». Tra i possibili interventi per migliorare l'aderenza ha impatto positivo, oltre a sistemi di controllo dell'assunzione delle pillole, la psicoeducazione da parte di differenti figure professionali quali medici di medicina generale, psichiatri, ma anche infermieri e farmacisti, con il supporto di differenti mezzi, da materiale audiovisivo a sistemi di messaggistica alle più nuove Applicazioni per lo smartphone.

Istituto Dante Alighieri