Cosa fare se sei vittima di cyberbullismo.

cyberbullismo_talentika.jpg
Cosa dice la legge? A chi conviene rivolgersi? Come difendersi? Che cosa bisogna salvare? Una raccolta di indicazioni pratiche utili per le vittime, le famiglie e la scuola

“Qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica“. È questa, secondo il comma 2 dell’articolo 1 della legge numero 71 del 29 maggio del 2017, l’attuale definizione di cyberbullismo per l’Italia. Ma che cosa fare, nella pratica, quando si finisce per essere vittima, o in qualche modo testimone, di un reato di cyberbullismo (la cui giornata nazionale in Italia per la sensibilizzazione è il 7 febbraio)?

La risposta breve sarebbe dipende, perché la varietà delle casistiche e delle situazioni è tale da non permettere di avere un unico possibile percorso. A mettere ordine e identificare alcune linee guida generali è Nicole Monte, avvocata delle nuove tecnologie dello studio legale milanese 42LF e specializzata in reati digitali, media policy, privacy e trattamento dei dati.

Tutte le cose che si possono fare

“La legge sul cyberbullismo dà degli strumenti giuridici a una serie di soggetti, dalla famiglia alla scuola fino alle associazioni, spiega Monte: “La novità principale è la possibilità di chiedere al provider l’oscuramento dei contenuti che rappresentano cyberbullismo. E in più, se il provider non provvede all’eliminazione entro 24 ore dalla richiesta, ci si può appellare al Garante per la protezione dei dati personali, che peraltro ha creato un canale preferenziale dedicato proprio alla segnalazione e ai reclami in materia di cyberbullismo”.

La rimozione dei contenuti non è però l’unica via, né è detto che sia sempre la migliore. Tra le possibilità c’è anche quella di sporgere denuncia, oppure di chiedere l’ammonimento al questore. Semplificando, quando viene richiesto l’ammonimento da parte della vittima o dalla famiglia, il minore-bullo viene convocato per una sorta di “ramanzina”. Viene quindi emesso un provvedimento da parte dell’autorità, in cui si dà la prevalenza alla finalità educativa: vengono infatti fornite indicazioni specifiche sul tipo di condotta posta in essere, stigmatizzando il disvalore di certi comportamenti e gli effetti negativi prodotti sulla vittima.

È però possibile farne richiesta solo se sono soddisfatte una serie di condizioni: il minore che ha compiuto l’atto di cyberbullismo deve avere tra i 14 e i 18 anni (se ne ha meno non è imputabile né perseguibile, perché considerato troppo giovane e immaturo) e non deve essere stata sporta denuncia. Se si procede per questa strada, il bullo può essere convocato dal questore, e in questo caso viene coinvolta anche la sua famiglia.

“La scelta più giusta dipende dall’inquadramento del caso”, continua Monte: “Se si è vittima di una baby gang è difficile che la via dell’ammonimento possa essere efficace, e spesso gli interessati nemmeno si presentano dal questore, mentre in altri contesti la convocazione può essere sufficiente da sola a far interrompere le azioni di cyberbullismo. Insomma, a volte la tattica dello “spaventare” può dare buoni frutti, altre no.

Proprio perché orientarsi può essere complicato, un’ulteriore possibilità che può rivelarsi molto utile è quella di chiedere una mano. Forze dell’ordine come Carabinieri, Polizia e Polizia postale, associazioni, centri anti-violenza, sportelli gestiti dall’ordine degli avvocati, istituzioni, help line, centri d’ascolto: i canali esistenti sono numerosissimi, con persone competenti disponibili a dare consigli.

“Così come dalla rete possono nascere i problemi legati al cyberbullismo, la rete può essere anche la risposta: una ricerca online permette di trovare chi può dare un aiuto, anche se a volte questi enti sono un po’ nascosti e non semplicissimi da trovare. Ascoltare il consiglio degli esperti può essere utile anche perché spesso subentrano dinamiche psicologiche che complicano il tutto”, aggiunge Monte. “Per esempio, a volte capita che si chieda in tutta fretta l’oscuramento dei contenuti, salvo poi accorgersi che si sono distrutte le prove del reato di cui si è vittima. Oppure si affronta la situazione facendosi prendere dall’emotività, senza nemmeno rendersi conto di quando gli episodi spiacevoli che accadono online stiano sfociando davvero nel cyberbullismo”.

Il ruolo della famiglia

Dato che si tratta di minorenni, i genitori (o in generale i tutori) hanno un ruolo importante nella gestione dei casi di cyberbullismo. La legge, in particolare, inquadra la famiglia non solo nel ruolo di tutela degli interessi del minore con la propria azione di affiancamento, ma anche come possibile vittima del cyberbullismo stesso. È scritto, infatti, che si parla di cyberbullismo pure nel caso in cui siano diffusi contenuti online “aventi a oggetto uno o più componenti della famiglia del minore, il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo”.

Naturalmente tutte le possibili azioni da compiere, dalla richiesta di oscuramento a quella di ammonimento, dall’appello al Garante alla denuncia, possono essere fatte sia dalla vittima sia dai genitori.

Il ruolo della scuola

A oggi il quadro normativo attribuisce una serie di responsabilità, anche operative, a chi opera nel mondo della scuola, a partire dal dirigente scolastico. Nella misura in cui il dirigente è a conoscenza di episodi di cyberbullismo, li deve necessariamente riferire alla famiglia. Il tutto “salvo più grave reato”: se si tratta di qualcosa di più serio del cyberbullismo (come per esempio un episodio di pedopornografia), per il dirigente c’è l’obbligo di procedere con una denuncia, come peraltro dovrebbe fare chiunque sia a conoscenza di un reato grave.

“Il cuore della legge contro il cyberbullismo per quanto riguarda la scuola è che viene creato anche un obbligo di formazione: sia con i giovani sia con le loro famiglie è infatti prevista la promozione e il finanziamento di progetti di prevenzione”, spiega Monte.

Oltre al dirigente scolastico, viene coinvolto naturalmente pure il personale docente. Gli insegnanti nominano un proprio referente interno che ha il compito di coordinare le iniziative di contrasto e prevenzione del cyberbullismo. E oltre a essere formati, sono tenuti a riferire al dirigente tutto quello che non va all’interno delle classi, incluso ciò che riguarda il cyberbullismo. Una scelta che non deriva dalla volontà di caricare gli insegnanti di ulteriori oneri e responsabilità, ma che riconosce la centralità del loro ruolo di contrasto e prevenzione.

“Da non dimenticare, poi, che la presa di coscienza delle famiglie riguardo ai comportamenti da cyberbulli – o da bulli in generale – inizia spesso quando c’è un provvedimento disciplinare: la nota, la sospensione, il voto basso in condotta, la bocciatura, chiarisce Monte. Insomma, la scuola gioca un ruolo anche nel creare consapevolezza degli episodi di cyberbullismo all’interno della famiglia del bullo stesso.

Il ruolo delle autorità e dello stato

Oltre al già citato Garante e al già citato questore, nelle iniziative da portare avanti contro il cyberbullismo è prevista anche l’introduzione di un tavolo tecnico con rappresentanti del ministero dell’Istruzione, delle associazioni e di altri enti. Finora il tavolo tecnico si è riunito tre volte, di cui l’ultima nel marzo 2020: in quell’occasione si è deciso per esempio, per favorire le azioni di contrasto, di migliorare la banca dati comune a livello nazionale.

“Se negli ultimi anni i casi di cyberbullismo emersi sono aumentati di molto, non è perché il fenomeno si sia aggravato, ma è aumentata la sensibilizzazione su questi temi”, spiega Monte. “Conoscere quali strumenti esistono, ossia che cosa si può fare, consente l’emersione del fenomeno. Avere una legge sul cyberbullismo è cosa buona nella misura in cui anche tra i giornalisti, tra gli avvocati e nelle altre professioni in cui c’è la vocazione per il sociale si riesce a fare crescere il livello di consapevolezza e a far riconoscere il proprio ruolo ai diversi soggetti coinvolti”.

Dati da salvare e conservare

In linea teorica, per tutti i contenuti digitali che hanno a che fare con gli episodi di cyberbullismo, bisognerebbe fare un’acquisizione forense del contenuto, in modo da renderlo digitalmente garantito. Un’azione che è possibile compiere presso molti provider. Nella pratica della giurisprudenza, comunque, anche uno screenshot e la sua stampa potrebbero andare bene, soprattutto se poi questi contenuti sono rafforzati da testimonianze e altri mezzi di prova. Anche se sono per loro natura più semplici da contraffare, in certi casi vengono comunque accettati.

Attenzione però alle operazioni di rimozione e oscuramento: se nella confusione e nella fretta iniziale si chiede di togliere i contenuti dal web, a quel punto può essere impossibile sia l’acquisizione forense sia un banale screenshot. “Dato che molte piattaforme sono rapidissime a rimuovere i contenuti perché danno molta importanza al tema, meglio salvare prima ciò che occorre, in modo da non cancellarsi da soli le prove”, conclude Monte.

Istituto Dante Alighieri